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Europa dell'est: il ricatto nucleare
25.06.1998
Alla fine del mese scorso, al Cremlino, una visita di Stato di re Harald V di
Norvegia ha preso una svolta tutt'altro che formale. In una lunga discussione in
cui si è parlato di argomenti concretissimi (quanti milioni di dollari) il
sovrano scandinavo e il presidente Boris Eltsin hanno affrontato a fondo un tema
che, per ragioni diverse, interessa moltissimo sia la Norvegia sia la Russia: il
grave rischio di inquinamento atomico del Mare di Barents dovuto al
deterioramento dei vecchi sommergibili nucleari russi oggi ancorati nelle basi
militari della penisola di Kola o, peggio, deliberatamente affondati negli anni
scorsi dalla marina sovietica nello stesso mare.
Per la Norvegia, che dal Mare di Barents trae gran parte del pesce (dopo il
petrolio, la voce più importante del reddito nazionale e delle esportazioni),
la minaccia di un inquinamento che assesterebbe un colpo mortale all'attività
dei suoi pescherecci ha un enorme impatto politico; si può ben dire che per
scongiurare questo pericolo governo e opposizione sono pronti a qualsiasi
sacrificio. Per la Russia, trovare collaborazione soprattutto economica per
neutralizzare il pericolo significa poter incominciare un'opera di
disinquinamento ambientale che è tra le più pesanti eredità del defunto
regime sovietico.
È solo una questione di soldi. Eltsin l'ha detto chiaramente al re. Se la
Norvegia offrirà crediti per almeno 30 milioni di dollari (54 miliardi di
lire), il lavoro di smantellamento dei reattori dei sommergibili si può fare.
Ogni giorno, la cronaca porta sotto i riflettori dell'opinione pubblica
l'incubo che ancora qualche anno fa soltanto gli ambientalisti cercavano di
evocare: il pericolo da inquinamento radioattivo che il mondo intero, senza
limitazioni di confini, sta correndo.
Gli esperti della International Atomic Energy Agency (Iaea) di Vienna hanno
recentemente fatto sapere di essere particolarmente preoccupati da due tipi di
reattori nucleari da tecnologia arretrata. Non a caso, ambedue in attività in
alcuni paesi dell'Europa orientale. Sono chiamati con le sigle RBMK e VVER
440-230. Si tratta di reattori di prima generazione, installati in centrali
nucleari che, purtroppo, rappresentano importanti quote di energia per diversi
paesi.
In Bulgaria sei reattori installati nella centrale di Kozloduy producono il
46 per cento dell'energia elettrica fabbricata nel paese. I primi due sono
entrati in azione nel 1974 e, date le loro condizioni, il governo di Sofia si
era piegato alle pressioni internazionali. Aveva così, in un primo tempo,
accettato di chiuderli entro il 1998, per far cessare l'attività,
successivamente, anche del terzo e del quarto reattore. Tutto questo in cambio
di un credito di 26 milioni di dollari (poco più di 46 miliardi di lire). Nel
marzo scorso, però, il responsabile bulgaro per l'energia, Ivan Shiliashki, ha
firmato contratti con società russe, francesi e tedesche per .modernizzare. il
quinto e il sesto reattore: impresa che, comportando la sospensione
dell'attività di questi due ultimi, lo ha poi indotto ad annunciare che il
primo e il secondo reattore resteranno in funzione fino al 2005.
I tecnici francesi e tedeschi che hanno ispezionato la centrale hanno
dichiarato che il reattore numero uno, appunto del tipo VVER 440-230, presenta
insufficienti condizioni di sicurezza in quattro settori: difettosi sistemi di
raffreddamento in casi di emergenza; scarsa capacità di contenimento di
eventuali fughe radioattive; soglia di pericolosità troppo bassa in caso di
incendio o allagamento; sottovalutazione di possibili conseguenze in caso di
terremoto.
In Slovacchia i quattro reattori VVER della centrale di Bohunice avrebbero
dovuto essere chiusi quando fosse entrata in attività, l'8 giugno, la nuova
centrale nucleare di Mochovce (costruita nonostante le fortissime proteste del
governo austriaco e di Greenpeace). Ma in Slovacchia metà dell'energia
consumata è di origine nucleare: e poiché negli ultimi tempi la richiesta di
energia è fortemente aumentata, le autorità hanno annunciato che Bohunice
continuerà a funzionare. Nella Repubblica ceca un impianto che fornisce circa
un quinto del fabbisogno nazionale di energia, la centrale di Dukovany, avrebbe
dovuto essere da tempo sostituito da una nuova e più moderna centrale, in
costruzione a Temelin, dotata di due reattori tipo VVER-1000. Secondo i piani,
questa centrale doveva essere completata otto anni fa: nel frattempo quella
divenuta obsoleta ha continuato e continua a funzionare. Il governo ha
recentemente sostituito tutta la direzione dell'ente di Stato per l'energia. I
nuovi dirigenti hanno promesso di far entrare in funzione il nuovo impianto
entro il 1999, ma nessuno è in grado di assicurare che ciò effettivamente
avverrà.
E poi c'é l'Ucraina, con la sua centrale di Cernobyl, in cui si verificò, nel
1986, una fuga radioattiva che gettò nel terrore l'intera Europa. Il 12 maggio
scorso i rappresentanti della Banca europea per la ricerca e lo sviluppo (Bers)
hanno firmato un accordo col governo di Kiev in base al quale la Banca ha
stanziato 130 milioni di dollari (circa 230 miliardi di lire) per lavori di
copertura del cosiddetto sarcofago di uno dei due reattori della centrale
danneggiati nell'incidente di dodici anni fa. Il sarcofago è, sostanzialmente,
uno spesso contenitore di cemento in cui è stato seppellito il reattore
esploso. L'Ucraina si era in precedenza impegnata a chiudere l'intero impianto
di Cernobyl entro il 2000, ma chiedeva in cambio una cifra colossale dai paesi
del G-7, tra cui è l'Italia. Quattro giorni dopo la firma dell'accordo con la
Banca mondiale, il governo di Kiev ha annunciato che il terzo dei quattro
reattori di Cernobyl era stato rimesso in funzione perché i tecnici avevano
riparato oltre 300 crepe nei tubi del sistema di raffreddamento e avevano
sostituito 50 tubi per le barre di combustibile nucleare, le parti dell'impianto
che erano rimaste più danneggiate nell'incidente. Con due reattori in funzione,
Cernobyl continuerà quindi a produrre energia fino al 2000 e oltre, a meno che
i paesi del G-7 si accordino con gli ucraini fornendo loro circa 2 mila miliardi
di lire per costruire altri due reattori nucleari nei territori occidentali del
paese.
È facile parlare, al riguardo, di ricatto nucleare. Ma sarebbe altrettanto
difficile, per i governanti dei paesi che si sono affidati a questo tipo di
impianti, interrompere il flusso di energia che da essi viene prodotta. Così,
in Lituania, ex Repubblica sovietica e oggi Stato indipendente, l'81 per cento
dell'energia consumata è prodotta dalla centrale di Ignalina, due reattori del
tipo RBMK-1500. È la più alta percentuale di qualsiasi paese del mondo. Nel
1997, quando i due reattori vennero temporaneamente spenti, a turno, per i
lavori di ordinaria manutenzione, un gruppo internazionale di esperti
raccomandò che nessuno dei due venisse riacceso prima che si fossero compiuti
lavori per misure di maggior sicurezza, al costo di circa 120 milioni di
dollari. Dopo averci pensato su, però, il governo di Vilnius ha annunciato che
non ritiene questi lavori necessari e che intende mantenere la centrale in
funzione fino al 2004, data programmata per una nuova fase di manutenzione.
Secondo gli scienziati, l'inquinamento da sostanze radioattive può durare,
nei casi più gravi, anche ventimila anni, rendendo inabitabili territori e
città che ne vengono colpiti. I più accorti politici se ne sono resi ormai
conto. Tanto che il segretario di Stato americano, Madeleine Albright, ha
recentemente dichiarato di considerare l'inquinamento ambientale il problema
prioritario per la sicurezza nazionale degli Stati Uniti. La Albright parlava
dopo gli esperimenti nucleari indiani e alla conferenza di Washington per la
messa al bando di certi prodotti chimici usati in agricoltura e nell'industria.
Ma faceva altresì una considerazione generale di linea politica: e infatti gli
Stati Uniti stanno finanziando, a colpi di miliardi di dollari, la distruzione
delle testate nucleari dell'Ucraina e del Kazakhstan.
È opportuno rendersi conto, tuttavia, che per ogni congegno atomico che si
distrugge, centinaia di altri restano attivi e altri ancora vengono creati, per
scopi militari e civili. Se non si invertirà la tendenza, il problema
continuerà ad aggravarsi e il costo per affrontarlo ad aumentare.
Autore: Gianluigi Melega Fonte: L'Espresso
Per approfondire: Notizie di Economia
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