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I
movimenti nazionali hanno fatto la loro comparsa nei Balcani all'inizio del XIX
secolo. La base sulla quale essi si sono originati e sviluppati era l'aspirazione
delle nuove forze economiche a liberarsi dalle catene dei rapporti feudali ormai
sorpassati che regnavano nell'impero dei sultani turchi. Tali movimenti hanno trovato
espressione in tutta una serie di insurrezioni nazionali e guerre, che progressivamente
hanno infranto il potere dei bej e dei pascià, liberando i contadini e portando
alla formazione degli attuali stati indipendenti balcanici.
I movimenti nazionali
dei Balcani hanno svolto un ruolo rivoluzionario di primo piano. Ma essi, allo stesso
tempo sono stati ispirati e sostenuti da forze esterne interessate, che perseguivano
nei Balcani obiettivi di conquista. Essi sono sempre serviti come strumento della
politica di conquista delle grandi potenze europee. Il patto di Berlino (1878),
con il quale è terminata la guerra russo-turca,
ha creato una nuova situazione nei Balcani, ma non ha posto fine ai movimenti nazionali.
La Macedonia, la Tracia, l'Albania, l'Epiro, la Tessaglia, Creta, sono rimasti nuovamente
sotto il potere despotico del sultano e l'oppressione economica dei bej turchi.
In queste regioni, il movimento nazionale non è cessato. Oltre alle grandi potenze,
in esso si sono immischiati anche gli stati balcanici confinanti. Indipendentemente
da questo, l'occupazione della Bosnia-Erzegovina da parte dell'Austria-Ungheria,
l'unione della Dobrugia alla Romania e quella della Bessarabia alla Russia, hanno
aperto nuove questioni nazionali.
In conseguenza del regime economico marcescente
e del debole potere politico della Turchia, il movimento nazionale nei Balcani si
è concentrato soprattutto nelle province turche, intorno alle questioni macedone,
tracia e albanese. Il suo programma politico era: l'indipendenza statale. Le classi
capitaliste degli stati confinanti, e le dinastie in essi al potere, miravano naturalmente
a espandersi territorialmente, a conquistare nuovi mercati e a ottenere lo sbocco
alle grandi rotte marittime a danno dell'impero turco. Il carattere puramente di
conquista e in reciproco conflitto delle loro ambizioni è stato da esse coperto
con dichiarazioni secondo le quali esse lottavano per la "liberazione dei fratelli"
dal giogo turco e per l'"unificazione nazionale". E' evidente che questa "liberazione"
poteva essere ottenuta unicamente mediante la guerra e per questo gli stati balcanici
si sono intensamente preparati alla guerra contro la Turchia. Ma dall'altra parte,
l'"unificazione nazionale" poteva essere raggiunta solo a scapito reciproco, per
questo essi si sono preparati a combattere tra di sé. E fino al momento decisivo
hanno motivato i propri "diritti" con migliaia di argomenti: etnografici, geografici,
storici, economici, strategici e così via. Gli stati imperialisti, da parte loro,
facevano pressione sui Balcani. Sotto la maschera della "difesa della popolazione
cristiana" e dei "diritti nazionali", essi perseguivano la propria politica di conquista
dell'Est. Qui si incrociavano le rotte della Russia e della Germania, della Russia
e dell'Inghilterra, dell'Austria e dell'Italia.
Se per il conseguimento dei
propri fini le grandi potenze preparavano una
Guerra balcanica, è evidente che tale
guerra doveva necessariamente tramutarsi in guerra generale europea. E' così che
il movimento rivoluzionario delle nazionalità soggiogate deviava dai propri fini
immediati, nei confini della Turchia europea, sotto la pressione dei numerosi grandi
e piccoli "protettori" interessati, che lo hanno trasformato in uno strumento per
le conquiste imperialiste e per l'oppressione. La
Prima guerra balcanica (1912-1913)
è stata preceduta da movimenti sobillati degli albanesi e dei macedoni. Le vittorie
del Patto balcanico hanno "liberato" i "fratelli" soggiogati dall'oppressione del
sultano (patto di Londra), ma l'"unificazione nazionale" ha fatalmente portato alla
Seconda guerra balcanica, che è terminata con l'unione alla Romania di parte del
territorio bulgaro, con la spartizione dei territori "liberati" soprattutto tra
Serbia e Grecia e la condanna dei "fratelli" a una nuova oppressione nazionale (pace
di Bucarest).
Grazie alla concorrenza tra Austria, Italia e Serbia, parte
della nazione albanese è tuttavia riuscita a ottenere una semindipendenza politica.
Ma gli interessi di rapina degli stati imperialisti hanno spinto gli eventi oltre.
E' scoppiata la grande guerra, che non solo non ha risolto, ma ha ulteriormente
complicato e acutizzato i problemi nazionali nei Balcani. I patti di Saint Germaine,
di Trianon e di Neuilly (1919), firmati a danno delle sconfitte Austria-Ungheria
e Bulgaria, hanno creato gli stati multinazionali della Jugoslavia e della "Grande
Romania". Oltre a ciò, la Romania si è impadronita della Bessarabia sovietica. Infine,
i negoziati di Neuilly e la conferenza di Losanna (1923) hanno fissato nuovi confini
tra la Turchia, la Bulgaria e la Grecia. Prima della guerra la Serbia aveva meno
di 3 milioni di abitanti, mentre ora in Jugoslavia si contano circa 2 milioni di
appartenenti a minoranze nazionali (tedeschi, ungheresi, italiani, romeni, albanesi,
bulgari ecc.) e circa 7 milioni di croati, sloveni, bosniaci, montenegrini e macedoni,
che si sentono nazioni a sé. Le minoranze aliene, sottoposte spesso a un brutale
regime, ambiscono naturalmente a unirsi ai propri connazionali indipendenti; tra
di esse si diffonde l'irredentismo. Ma un ruolo molto più grande lo ha la lotta
tra i gruppi nazionali compatti. La borghesia serba, appoggiandosi al monarchismo
e al militarismo e sostenuta dal capitale francese, ambisce a stabilire la propria
egemonia sulle ex province austroungariche, molto più sviluppate dal punto di vista
capitalistico. E' su questo terreno che si è sviluppato un conflitto tra la Serbia,
da una parte, e la Croazia, la Slovenia e in parte la Bosnia, dall'altra. La debolezza
numerica della popolazione serba rispetto ai croati, agli sloveni e ai bosniaci
presi nel loro insieme, spinge i governanti di Belgrado a essere duri e brutali
nei confronti di questi ultimi, un fatto che coinvolge nella lotta, insieme agli
strati borghesi, anche le masse popolari più ampie; in conseguenza di ciò, il conflitto
si amplia e si acutizza ancora di più. La base parlamentare inaffidabile del governo
costringe quest'ultimo a cercare l'appoggio dei bej (latifondisti) turchi e bosniaci;
facendo ciò, esso attira su di sé le ire dei contadini nullatenenti o poveri. Così,
progressivamente, la Jugoslavia si è trasformata in un paese segnato da una lotta
accanita, alla quale prendono parte ampie masse popolari e che prende un carattere
nazionale. Nel dirlo, è importante sottolineare che la direzione delle masse si
trova nelle mani della borghesia. Quest'ultima è riuscita a dare alle sue mire di
classe un carattere nazionale e in tal modo a garantirsi il sostegno delle masse.
Il Partito Comunista, che nel 1919 e nel 1920 non aveva solo il sostegno del proletariato,
ma anche di ampi settori dei lavoratori dei campi, negli ultimi anni si è isolato
dalle masse. Tuttavia, queste ultime non sono passate nemmeno dalla parte dei socialdemocratici.
A scapito dei comunisti, si sono rafforzati i partiti nazionali (di Radic, di Korosec,
di Spaho), una prova del fatto che il Partito Comunista non ha dato valore sufficiente
al ruolo dell'aspetto nazionale nella lotta delle masse lavoratrici. La negazione
esplicita della questione nazionale in Jugoslavia, o la sua negazione dissimulata
(cioè il riconoscimento della sua esistenza solo come questione puramente costituzionale),
si riflette in maniera univocamente negativa sullo sviluppo del partito. Quest'ultimo
rischia di perdere le simpatie dei contadini macedoni, manifestatesi in maniera
così forte nel 1919 e nel 1920, se non assume attivamente un posizione corretta
sulla questione nazionale.
Ma la
questione macedone ha un'importanza
molto più grande. Il controllo della valle del fiume Vardar (Macedonia) significa
il libero accesso al Mar Egeo (Salonicco). A ciò ambiva l'ex monarchia austro-ungherese,
a ciò ambisce oggi anche il suo erede meridionale - la Jugoslavia: il controllo
della Macedonia le servirà come base per la conquista di Salonicco. La Macedonia
ha una particolare importanza anche per la borghesia bulgara e per la borghesia
greca. In Macedonia oggi si incrociano nuovamente le ambizioni di conquista dei
tre stati balcanici. Prima o poi, se continuerà il dominio capitalista, la questione
macedone porterà a una nuova guerra balcanica. I contorni di tale guerra si stanno
già profilando. Il governo di Belgrado ha siglato un'intesa con gli italiani riguardo
alla questione adriatica, per avere la possibilità di rivolgere la propria attenzione
verso sud. Ciò la spinge a fare il possibile per garantirsi il controllo della Macedonia,
isolandola dalle mire conquistatrici della Bulgaria, attraverso un intervento militare
in Bulgaria, oppure mediante un'intesa ai danni della Grecia sulla base: la Macedonia
con Salonicco alla Jugoslavia, la Tracia Occidentale con Dedeagac (e Kavala?) alla
Bulgaria.
La sconfitta della Grecia nell'Asia Minore e la cacciata del regale
"cognato", il re Alessandro, da Atene non hanno fatto che aumentare gli appetiti
del rapace capitale. Per questo, nella loro lotta contro le mire imperialiste della
borghesia balcanica e contro una nuova guerra, che essa sta zelantemente preparando,
gli operai e i contadini dei paesi balcanici hanno un alleato nel popolo lavoratore
macedone, che lotta per la propria unificazione e per l'indipendenza. Una Macedonia
(e una Tracia) unita e autonoma non farebbe che rafforzare il fronte antimperialista.
I partiti comunisti balcanici, sostenendo il movimento nazional-rivoluzionario
macedone, non fanno altro che favorire, ampliare e rafforzare la propria lotta contro
la borghesia imperialista. I loro compiti più importanti sono, a seconda delle condizioni,
quelli di trovare le forme concrete per la collaborazione con le organizzazioni
nazionali di massa macedoni. Loro compiti non meno importanti sono anche l'opposizione
a ogni tentativo della borghesia, di qualsiasi paese balcanico, di impossessarsi,
anche solo in forma dissimulata, della direzione del movimento nazionale macedone
e di utilizzarlo per i propri fini di conquista e controrivoluzionari. Un ruolo
quasi uguale lo svolge la questione tracia nelle relazioni tra Turchia, Bulgaria
e Grecia. Per questo, un tale atteggiamento è obbligatorio per i partiti comunisti
balcanici anche nei confronti del movimento di liberazione nazionale e delle organizzazioni
nazionali in Tracia. La Romania, che prima della guerra aveva circa 8 milioni di
abitanti, dopo la guerra ha raddoppiato la sua popolazione e allo stesso tempo ha
inghiottito non meno di 3 milioni di ungheresi, tedeschi, russi, bulgari e altri
gruppi compatti che vivevano in Transilvania, nella Bucovina, in Bessarabia, nella
Dobrugia e altrove. In tal modo anche in Romania è emersa in forma acuta la questione
nazionale. La borghesia della vecchia Romania, in maniera analoga a quella della
Serbia, ha fatto tutto il possibile, appoggiandosi alla monarchia e all'esercito,
per imporre la propria egemonia nelle province che si era annessa.
Ma in
Transilvania, dove vi è un capitale ungherese più sviluppato e più forte, essa ha
incontrato una forte resistenza da parte di quest'ultimo; in quella regione è stato
creato il Partito Nazionale Ungherese, che ha cercato di riunire attorno a sé l'intera
popolazione ungherese. In Bessarabia, la tirannica politica romena si è scontrata
con l'irrefrenabile attrazione delle ampie masse contadine per l'Unione Sovietica.
Nella Dobrugia meridionale, il nazionalismo dei contadini bulgari è rimasto
irremovibile, indipendentemente dai metodi terroristici dei çokoi (latifondisti)
di Bucarest. In tal modo, la vita politica è stata contrassegnata in tutto il paese
dalla forte influenza della lotta nazionale. In tali condizioni è chiaro che la
questione nazionale ha un enorme e pressante significato anche per il Partito Comunista
Romeno. Non prestarle attenzione, cercando di ridurre la lotta delle masse esclusivamente
alla base delle contraddizioni di classe, vuol dire privarsi di una potente arma
per ottenere influenza sulle masse e per instaurare rapporti con esse. La questione
della Bessarabia, similmente a quella macedone, nasconde dentro di sé gli embrioni
di una nuova guerra. Il rifiuto dell'URSS di riconoscere l'usurpazione della Bessarabia
rende instabile la posizione dei latifondisti romeni in questa regione. Per mantenerla
nelle loro mani, essi devono spendere continuamente enormi fondi del paese in armamenti,
cercando protezioni che costano care e sforzandosi in tal modo di mantenere continuamente
le masse nazionali sotto la minaccia della guerra. Dare alla popolazione di questa
regione il diritto all'autodeterminazione, non solo soddisferà la Bessarabia, ma
solleverà le masse popolari dell'intera Romania da tremendi oneri, da nuove rovine
e catastrofi. La questione nazionale nei Balcani è nella massima misura multiforme.
Quando le nazionalità oppresse vivono, come minoranze aliene, disperse tra la nazione
dominante, la questione nazionale si presenta come questione di eguaglianza politica
e civile, di diritti culturali-nazionali e così via. In considerazione dell'eterogeneità
nazionale degli stati balcanici e della secolare inimicizia e intolleranza, la questione
della difesa dei diritti delle minoranze nazionali ha in questo caso un'importanza
di primo piano. Tutti gli accordi internazionali relativi ai Balcani affrontano
tali questioni.
I partiti comunisti balcanici hanno qui un'ottima occasione
di esprimersi come difensori degli oppressi e di coloro che non hanno diritti, nonché
di contribuire alla pacificazione delle nazioni balcaniche. Quando invece ci troviamo
di fronte a gruppi nazionali compatti, la questione è molto difficile. Se questi
gruppi sono incontestabilmente alieni (gli ungheresi in Transilvania, i bulgari
in Dobrugia, gli albanesi in Serbia e così via), si riconosce loro senza obiezioni
il diritto all'autodeterminazione; ma se essi sono di stirpe diversa (croati, sloveni,
bosniaci, montenegrini rispetto ai serbi) insorgono dubbi. Gli slogan borghesi per
l'"unificazione nazionale" ecc., che mascherano le ambizioni di conquista dei capitalisti
annebbiano la coscienza.
E' invece qui necessario innanzitutto avere una
chiarezza rivoluzionaria ed evitare in ogni modo la scolastica nazionalistica borghese.
Se il movimento nazionale esiste realmente, come movimento delle masse, la disputa
su se un determinato gruppo nazionale costituisce una nazione a sé o solo una stirpe
diversa di un'unica nazione, non ha alcun senso pratico. E' il gruppo stesso che
deve decidere la propria appartenenza statale. Alcuni gruppi nazionali vengono attirati
dallo stato dal quale sono stati separati con la violenza (irredentismo), come per
es. gli ungheresi in Jugoslavia e Romania sono attirati dall'Ungheria, i bulgari
in Dobrugia sono attirati dalla Bulgaria ecc., oppure cercano di constituirsi in
stati a sé, come i macedoni, i montenegrini ecc, o ancora di entrare in rapporti
federali con altri gruppi nazionali, come per es. i croati, gli sloveni e altri.
I bessarabi vogliono chiaramente entrare a fare parte dell'Unione delle Repubbliche
Socialista Sovietiche. I partiti comunisti determinano la propria posizione nei
confronti di tutti questi multiformi movimenti e ambizioni in ogni singolo caso
concretamente, basandosi sul diritto di ogni nazione all'autodeterminazione e ispirandosi
agli interessi del movimento rivoluzionario delle masse lavoratrici.
La questione
degli emigrati negli stati balcanici costituisce anch'essa una pagina della questione
nazionale. Grandi masse popolari di queste regioni, dove si sono svolte azioni di
guerra (Tracia, Macedonia ecc.) sono fuggite di fronte agli eserciti che avanzavano;
i governi balcanici hanno spesso espulso con la violenza la popolazione aliena dalle
regioni conquistate (i greci dall'Asia Minore, i bulgari dalla Tracia ecc.); hanno
instaurato un regime discriminatorio nelle regioni annesse dalle quali sono state
espulse ingenti masse verso i paesi confinanti (i macedoni fuggono in Bulgaria ecc.).
Il patto di Neuilly prevede perfino lo "scambio" di popolazioni tra Grecia e Bulgaria.
In tal modo nei paesi balcanici è stata creata un'enorme emigrazione, che naturalmente
prende parte sotto diverse forme al movimento nazionale. L'emigrazione costituisce
in primo luogo un enorme onere materiale per il paese in cui tali emigranti si stabiliscono
e in secondo luogo è continuamente motivo di conflitti tra gli stati balcanici,
mentre, in terzo luogo, la borghesia e le dinastie si adoperano in tutti i modi
per utilizzarla come arma per la propria politica di conquista e di oppressione.
Prendendo sotto la propria protezione l'emigrazione e adoperandosi per alleviarne
i destini, il partito comunista deve fare tutto il possibile per sottrarla all'influenza
della borghesia e delle dinastie e per mettere in collegamento la sua lotta con
la lotta delle masse lavoratrici. I metodi della lotta nazionale nei Balcani sono
anch'essi altrettanto multiformi. Dalla difesa puramente legale e parlamentare e
dalla pressione semilegale delle masse, essi devono arrivare fino alla creazione
di organizzazioni illegali, alla lotta di gruppi armati e agli attentati, all'organizzazione
di insurrezioni armate, all'intervento di stati stranieri e all'istigazione alla
guerra. Tra le classi sociali che prendono parte ai movimenti nazionali, quella
più numerosa e che ha importanza decisiva è la classe contadina. In Bosnia, Macedonia,
Tracia, Bessarabia e Transilvania, la questione agraria svolge un grande ruolo nel
movimento nazionale. Il proletariato vi prende parte nella misura in cui l'oppressione
nazionale è fonte di un grande sfruttamento e ostacola il dispiegarsi della lotta
di classe.
La grande borghesia è in alcune regioni (Croazia, Slovenia, Transilvania)
anch'essa di umori nazionalisti e le cosiddette borghesie serba e romena fanno tutto
il possibile per sottometterla ai propri interessi. Questa multiformità di interessi
di classe all'interno del movimento nazionale rende il compito dei partiti comunisti
ancora più difficile. Ma da essa conseguono i seguenti compiti urgenti: analizzare
nella maniera più approfondita possibile i rapporti agrari nel proprio paese, rilevare
in quale misura l'oppressione nazionale influisce sulla lotta di classe degli operai
e, indipendentemente da quanto accade, sottrarre la direzione della lotta delle
masse cittadine e contadine dalle mani della borghesi nazionalista. I partiti comunisti
balcanici, uniti nella Federazione comunista balcanica, vedono la soluzione più
giusta della questione nazionale nell'Unione delle Repubbliche Sovietiche dei Balcani.
Ma il conseguimento di questo comune obiettivo esige da essi un'analisi scrupolosissima
e multiforme del complesso problema nazionale e un atteggiamento il più attento
possibile a tutte le espressioni del movimento nazionale nei Balcani.
(da "Kommunisticeskij Internacional", n. 3-4, maggio 1924)
(Vasil Kolarov (1877-1950) è stato uno dei fondatori del Partito Comunista
Bulgaro e membro della presidenza del Comintern nel periodo 1922-1943. Dal 1922
al 1924 è stato inoltre segretario generale del Comintern stesso. Nel corso degli
anni la sua posizione si è evoluta fino a un'adesione totale al più grigio stalinismo,
ma negli anni '20 partecipava ancora con notevole spirito critico al dibattito sulla
situazione nei Balcani. Il 1924, l'anno in cui è stato scritto il presente articolo,
è stato un anno burrascoso e fondamentale per il movimento comunista balcanico e
per quello bulgaro in particolare che, pur tra forti controversie interne, aveva
deciso di affrontare la questione del movimento rivoluzionario macedone, allora
egemonizzato da forze di destra, fornendogli un appoggio attivo e riconoscendo l'importanza
delle questioni nazionali, nel tentativo di togliere alle borghesie balcaniche l'egemonia
sui vari movimenti di liberazione e indipendentisti - a.f.)
tratto dalla rivista "Balkan"
- traduzione in italiano di Andrea Ferrario, sulla base della versione in lingua
bulgara pubblicata nel libro: Direzione Centrale degli Archivi presso il Consiglio
dei Ministri, "Il PCB, il Comintern e la questione macedone", vol. 1, Sofia, 1998.
Il testo originale dell'articolo è in lingua russa
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