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di Ivan Dujchev
Studiata nelle sue linee generali, la storia dei popoli balcanici durante il
secolo XIV offre un aspetto del tutto particolare. Nella prima metà di quel secolo,
tre stati balcanici si disputavano la supremazia nella penisola: l'Impero bizantino,
la Bulgaria e la Serbia. Per l'Impero bizantino cominciò un periodo di grave crisi
interna: scoppiarono guerre civili, prima negli anni 13221328, fra Andronico II
ed il suo nipote Andronico III, poi, dopo la morte di quest'ultimo (15 giugno 1341),
fra l'erede Giovanni V Paleologo e Giovanni Cantacuzeno, il quale riuscì ad occupare
il trono di Costantinopoli per ben sette anni (1347-1354).
Intanto dall'Asia
Minore si affacciava, sempre più minacciosa, la conquista turca, non solo nelle
regioni asiatiche dell'indebolito Impero, ma già anche nei territori della Penisola
balcanica. Le rivalità fra i due stati slavi nella penisola si risolvevano in favore
dei Serbi: durante il regno di Stefano Dusan (1331-1355) lo stato serbo giunse alla
sua massima potenza. La seconda metà del secolo XIV aggravava ancora di più la crisi:
il processo della spartizione feudale degli stati balcanici toglieva loro sempre
di più le forze vitali e li rendeva una preda facile per i conquistatori asiatici.
Sul territorio balcanico si formarono numerosi stati e staterelli, che lottavano
continuamente fra di loro, a vantaggio dell'avanzata turca. Ad onta di tutto ciò,
appunto in questo periodo, quando i confini politici avevano perduto la loro stabilità
e, in conseguenza, il loro significato, e quando l'esistenza dei singoli stati pareva
ormai gravemente minacciata, fra i popoli balcanici si diffondeva tanto più chiara
la coscienza di un'unità che si potrebbe definire unità bizantino-slava.
Il movimento di questo sincretismo bizantino-slavo trovava la sua espressione nella
vita religiosa, come anche nell'attività letteraria e artistica. I monasteri degli
esicasti e la migrazione degli eremiti da un paese in un altro creavano le migliori
possibilità di una simbiosi fra persone d'origine greca e d'origine slava. In tal
modo non solo s'imparava a conoscere i vari paesi e le varie nazionalità balcaniche
- il che contribuiva ad un avvicinamento reciproco -, ma si giungeva ad un bilinguismo
grecoslavo. Scrittori ecclesiastici bizantini venivano ad occuparsi della vita e
dell'attività di persone d'origine slava. Come l'arcivescovo di Ochrida Teofilatto,
il quale verso la fine del sec. XI oppure all'inizio del sec. XII aveva compilato
sulla base di una fonte slava oggi scomparsa una vita di san Clemente d'Ochrida,
e come lo scrittore bizantino Giorgio Scilitzes, che tra il 1166 e 1183 aveva scritto
in greco, utilizzando fonti bulgare, una vita del santo bulgaro Giovanni di Rila
del sec. X , così un dotto patriarca costantinopolitano del sec. XIV, Callisto I
(1350-1354, 13551363), componeva la vita di un suo contemporaneo bulgaro, l'esicasta
Teodosio di Tirnovo. In altri casi si scriveva in greco e in slavo, senza che oggi
si possa dire quale sia la lingua originale: tale fu, ad esempio, la vita di un
altro esicasta bulgaro del sec. XIV, il santo Romil da Vidin. La sua vita è conservata
non soltanto in una versione bulgara del sec. XIV, ma anche in una versione greca,
conservata frammentariamente in un codice della Vaticana (cod. Urbin. gr. 134) e
integralmente in un codice del monastero di San Dionisio al Monte Athos (cod. Athon.
3666/132). L'autore della vita, un certo monaco Gregorio, conosceva con tanta perfezione
ambedue le lingue, cioè il greco e lo slavo, che risulta impossibile decidere con
certezza di duale nazionalità egli sia stato. Di un discepolo di Teodosio di Tirnovo
si riferisce che conosceva perfettamente il greco e lo slavo (bulgaro) così da riuscire
a fare delle traduzioni, che erano molto ammirate. D'altronde gli ultimi scrittori
del medioevo bulgaro, il patriarca di Tirnovo Eutimio (1375-93), Gregorio Camblak
oppure Costantino Kostenecki, dimostravano di essere sotto un forte influsso della
letteratura e della lingua di Bisanzio.
Ciò che accadeva nel campo dell'attività
letteraria si ripeteva anche nella vita artistica: opere d'arte bizantina capitavano
spesso nelle mani dei Bulgari. Così basterebbe forse ricordare la storia di una
celebre icona bizantina che ebbe un'importanza particolare nella rivolta dei Bulgari
del 1185 contro la dominazione bizantina. Com'è ben noto, il 24 agosto 1185 i Normanni
di Sicilia occuparono Salonicco. Fra la popolazione bulgara, che proprio in quel
tempo cominciava la sua rivolta contro i Bizantini, si diffuse la convinzione che
san Demetrio, il protettore della città di Salonicco, avrebbe abbandonato la città,
per passare a fianco degli insorti. La causa di questa credenza, che servì più tardi
di base ad una venerazione speciale da parte dei Bulgari verso il santo, non era
soltanto il fatto che la città, la duale durante tanti secoli aveva resistito a
numerosi nemici, adesso cadeva sotto il potere dei Normanni siciliani. Nel turbamento
della conquista normanna, quando si tentava di salvare le ricchezze e la vita, qualcuno
aveva portato via anche una celebre icona di san Demetrio e l'aveva trasportata
fino alle terre bulgare, ove s'infiammava la rivolta.
Così, la conquista
normanna, che vibrò un colpo gravissimo all'Impero bizantino e risuscitò le speranze
dei popoli soggetti ai Bizantini, contribuiva in modo diretto ed indiretto alla
liberazione dei Bulgari dalla dominazione straniera, che durava ormai da più di
un secolo e mezzo. Un anno più tardi, nell'estate del 1186, l'imperatore bizantino
Isacco II Angelo (1185-1195), stando a capo di una spedizione militare contro gli
insorti bulgari, rinveniva in casa di uno degli organizzatori principali, Pietro,
la famosa icona di san Demetrio, e la riportava indietro con sé. In questa occasione
il poeta Teodoro Balsamone scrisse alcuni versi adulatori ed insipidi. Nella primavera
del 1190 lo stesso imperatore intraprese una nuova spedizione contro i Bulgari,
ma non ottenne nulla e ritornò indietro. Quando poi l'esercito bizantino subì la
disfatta in un passo delle montagne bulgare, la croce reliquiaria imperiale fu gettata
in fondo ad un fiume, donde i Bulgari la ripescarono insieme con altri oggetti preziosi.
Era naturale che i Bulgari, nei loro rapporti letterari con Bisanzio, portassero
nella loro patria numerosi codici d'origine bizantina.
Quando nel secolo
XIV la cultura bulgara, gravitante intorno alla corte regia, oppure in qualche celebre
monastero, giungeva ad una certa raffinatezza di gusto, si cercò d'imitare i Bizantini
non soltanto facendo versioni di testi greci, ma anche nell'ornamentazione dei codici
stessi. In tal modo, attraverso i codici, l'influsso bizantino letterario si allargava
in un influsso artistico. Tant'è vero che nel secolo XIV si formava in Bulgaria
una scuola miniaturistica bulgara sotto l'influsso bizantino, che ci ha lasciato
alcuni codici miniati. Ricordiamo in primo luogo un codice, oggi a Londra, contenente
un evangeliario, copiato nel 1355-1356 per il re bulgaro Giovanni Alessandro (1331-1371).
Lo scriba, un certo monaco Simone, in una nota marginale ci ha narrato alcuni dettagli
di particolare interesse.
Indicando che il codice fu copiato e miniato per
il sovrano bulgaro d'allora, egli riconosce che era stato utilizzato per le miniature
un prototipo più antico. Secondo la testimonianza del monaco Simone, il re Giovanni
Alessandro stesso aveva scoperto questo prototipo, simile "a candelabro, posto in
luogo oscuro e dimenticato, lasciato lì con negligenza dai sovrani antichi". Egli
ordinò di farne una versione dal greco in bulgaro, che fu fatta ed il codice fu
riccamente miniato. Le parole dello scriba dovrebbero essere interpretate, senza
dubbio, non nel senso che si sia trattato di una versione del testo dell'evangeliario.
Una tale versione dal greco in bulgaro esisteva ormai da secoli; dai tempi dei ss.
Cirillo e Metodio, il testo dell'evangeliario era assai diffuso e non era necessaria
una nuova versione. Evidentemente, l'espressione deve riferirsi all'ornamentazione
del codice. Era stato scoperto, come pare, nei tesori del palazzo di Tirnovo, un
manoscritto bizantino riccamente miniato, ed il re bulgaro aveva voluto imitarne
l'ornamentazione su un codice con testo slavo dell'evangeliario. L'analisi stilistica
delle miniature del codice di Londra dimostra infatti che queste miniature in vari
particolari presentano numerosissime analogie con il ciclo bizantino dell'illustrazione
dell'evangeliario.
Circa un decennio prima, verso il 1344-1345, sempre a
Timovo fu copiato e miniato un altro codice bulgaro: si tratta del cod. Vatic. slavo,
con la versione medio-bulgara della cronaca versificata di Costantino Manasse a.
Fra le 69 miniature che sono aggiunte al testo, più della metà, cioè circa 44, sono
copiate su di un prototipo bizantino. Oltre alla versione della cronaca di Costantino
Manasse, nel codice Vaticano è stata inserita anche la versione mediobulgara della
storia della guerra di Troia, fatta probabilmente - attraverso la Dalmazia - su
un originale latino, compilato in Italia. Per questa narrazione gli artisti bulgari
utilizzarono le miniature, relative alla guerra di Troia, che decoravano il testo
di Costantino Manasse sul medesimo episodio storico. Infine, al testo della versione
della cronaca sono aggiunte varie notizie di carattere storico riguardo alla storia
bulgara ed i rapporti bizantino-bulgari, utilizzando per la maggior parte passi
della cronaca ben nota dello storico bizantino Giovanni Zonaras a. Fra i codici
bizantini conservati sino al giorno d'oggi non si potrebbero indicare manoscritti
miniati, che rechino insieme col testo delle cronache di Costantino Manasse e di
Giovanni Zonaras delle miniature di carattere storico. Il codice bulgaro, copiato
e miniato per il re Giovanni Alessandro, serba perciò, attraverso una copia bulgara,
scene del ciclo storico bizantino oggi scomparse.
Non erano però soltanto
dei codici, ma anche degli artisti bizantini che giungevano in Bulgaria nel secolo
XIV. Senza occuparci qui del problema non ancora chiarito dell'attività di artisti
bizantini nell'ornamentazione di alcune chiese bulgare di questo periodo, basterebbe
indicare le testimonianze del soggiorno di copisti e di miniatori. Come nel secolo
XIII, dopo la conquista di Costantinopoli da parte degli Occidentali (1204), si
ebbe una diaspora di artisti e di scrittori bizantini verso le terre bulgare, così
pure nel secolo XIV i turbamenti che ebbe a patire l'Impero bizantino in seguito
alle guerre civili e all'avanzata turca nell'Asia Minore, furono un motivo grave
per una nuova diaspora di artisti, di copisti e di scrittori bizantini verso le
terre degli Slavi balcanici e, in questo caso, verso la Bulgaria. Un codice greco
della Biblioteca Pubblica di Leningrado (Grec. Nr. 235), già appartenente alla collezione
di manoscritti di Porfirij Uspenskij (1804-1885), rappresenta una prova importante
di detta attività. Una nota marginale, aggiunta alla fine del codice, che contiene
il testo del commento sui Vangeli dell'arcivescovo d'Ochrida Teofilatto (fine del
sec. XI-inizio del sec. XII) ci dà qualche indicazione sulla storia del codice stesso.
Il copista, di nome Metodio Gemistos, ci informa di aver copiato il codice nella
seconda metà del maggio 1337 per incarico del patriarca di Tirnovo Teodosio, "sotto
il regno del re bulgaro Giovanni Alessandro e di suo figlio Giovanni Asen". Copiando
il testo, lo scriba oppure uno sconosciuto pittore il cui nome - come si può vedere
da una nota - era Dositeo, ha aggiunto le immagini dei quattro evangelisti, rimaste
finora inedite nella Biblioteca Pubblica di Leningrado.
Il caso di questo
codice è assai significativo: un copista e forse un miniatore bizantino erano giunti
in territorio bulgaro nel 1337, sempre in seguito alla diaspora, e lavoravano per
incarico delle autorità civili ed ecclesiastiche bulgare. La finezza delle miniature
dimostra d'altronde che si trattava in ogni caso di un miniatore di notevoli capacità.
Per fortuna abbiamo però un codice di rarissime qualità artistiche, nato dalla collaborazione
fra artisti bulgari e bizantini verso la metà del secolo XIV. Si tratta di un codice
conosciuto sotto il nome di Salterio di Tomic e conservato oggi nel Museo storico
di Stato a Mosca (sezione manoscritti, Nr. 2752). Il codice fu regalato al Museo
dallo studioso serbo Sima Novakovic Tomic (morto nel 1903), verso la fine di settembre
del 1902. Accanto al testo mediobulgaro del salterio e dell'acatisto nel codice
sono aggiunte 104 bellissime miniature. Rimasto inedito, dell'ornamentazione del
prezioso manoscritto si avevano nella letteratura scientifica soltanto scarse notizie.
Le miniature di questo salterio non sono inferiori, per il loro valore artistico,
a quelle della cronaca di Manasse alla Vaticana e dell'evangeliario di Giovanni
Alessandro di Londra. Già nel breve studio di V. N. Scepkin veniva sottolineato
il forte influsso bizantino nell'ornamentazione del codice di Tomic Lo studio di
alcuni elementi, rimasti sino ad ora completamente inosservati, conferma pienamente
l'opinione dello studioso russo e, nello stesso tempo, dimostra le vie della penetrazione
di quest'influsso. Così, in calce ad alcuni fogli contenenti delle miniature si
trovano iscrizioni in lingua greca, ma disgraziatamente non tutte queste iscrizioni
si sono conservate interamente sino ad oggi. Alcune di esse (ad es., sui ff. 5,
6', 13, 13') furono tagliate dal legatore del codice e non si vedono altro che tracce
illeggibili. Tuttavia alcune delle note marginali sono rimaste intatte e si possono
decifrare in modo soddisfacente. Bisogna avvertire che tutte le note marginali del
genere appartengono ad una mano e sono scritte in caratteri greci corsivi. Sulla
parte inferiore del f. 22' si legge: "Fa' qui Davide che sta e tiene un libro e
guarda verso il cielo, e dalla parte opposta il cielo e dei raggi che discendono".
I dettagli menzionati nella nota marginale sono effettivamente raffigurati nella
miniatura della medesima pagina. Una iscrizione un po' più lunga era stata aggiunta
sui margini interni dei ff. 25' e 26, ma ora si legge soltanto in parte e comincia
colla stessa frase: "Fa' qui Saul che insegue Davide, e dietro di lui . . . di nuovo
dinanzi alla montagna Davide che sta pregando... ". La miniatura rappresenta infatti
la medesima scena di cui si parla nella nota marginale. Nella parte inferiore del
f. 30 si legge la nota: " Fa' qui la Pentecoste", che pure corrisponde alla miniatura
che si vede sul foglio. Fra le varie note marginali che si leggono più o meno bene,
interamente oppure in parte, si dovrebbero indicare le scritte sui ff. 31', 45,
80, 270 e 271: il testo di dette note corrisponde sempre alle miniature relative.
Così, nella nota sul f. 31' - ora troppo rovinata - si legge l'indicazione di "
raggi che discendono ", e la miniatura corrisponde. Nella miniatura sul f. 45 si
vedono i montoni, dei duali si parla nella nota posta in margine. La nota sul f.
80 parla della raffigurazione di santi e di altre persone, ciò che effettivamente
si vede nella miniatura. Le due note marginali sui ff. 270 e 271 contengono l'istruzione
di raffigurare l'Annunciazione della Vergine e la nascita di san Giovanni Battista,
e le miniature effettivamente rappresentano le scene corrispondenti. Talvolta però
sotto le miniature, come ad esempio ai ff. 46, 53, 74, 77; 78; ecc., non c'erano
delle note, mentre in altri casi, la parte inferiore dei fogli essendo stata tagliata,
non è possibile stabilire con certezza la presenza o la mancanza di scritte.
Lo studio delle note rimaste dimostra però con sicurezza che tutte erano fatte
dalla medesima mano, perfettamente esperta nello scrivere il greco, contenevano
sempre un'istruzione riguardo al soggetto da raffigurare nella relativa miniatura
e, infine, che fra il contenuto delle note marginali e le miniature si osserva sempre
una completa coincidenza. L'esame paleografico delle note non lascia nessun dubbio
che esse risalgono alla metà del secolo XIV, cioè sono contemporanee alla scrittura
del codice stesso, e non sono aggiunte in un periodo posteriore. In poche parole,
fra le note e le miniature esiste un innegabile rapporto di dipendenza. Delle note
in greco si leggono però anche accanto alle stesse miniature. Di solito si tratta
di qualche nome, ad esempio il nome del profeta Davide, oppure di qualche titolo
della miniatura. Tutte queste note esplicative, aggiunte alle miniature, sono scritte
da una mano poco esperta nello scrivere il greco e recano vari errori ortografici.
Lo scriba che aggiunse queste scritte conosceva, in paragone con lo scriba che scrisse
sul margine inferiore del codice, il greco in maniera insufficiente: scriveva piuttosto
foneticamente e non conosceva l'ortografia della lingua. Per quanto si può stabilire,
le note in calce ai fogli non contengono nessun errore ortografico. Questo scriba
non avrebbe mai copiato una nota, come quella sul fol. 76, accanto alla miniatura:
`H ATIH MAPTHPEC, ove sono non meno di quattro o cinque errori di ortografia. Un'altra
differenza sta nel fatto che mentre lo scriba, che aggiunse le note sul margine
inferiore, scriveva sempre coi caratteri corsivi, il secondo scriba, che aggiunse
le iscrizioni alle miniature stesse, scriveva invariabilmente coi caratteri onciali.
Per quanto io sappia, il caso delle iscrizioni sul codice del Salterio di Tomic
non ha delle analogie complete con gli altri codici miniati. Il primo studioso che
diede notizie del codice pensò in un primo momento d'interpretare la presenza delle
note nei margini inferiori del manoscritto, a quanto pare, come una testimonianza
dell'opera di un miniatore bizantino. Questa spiegazione si fondava però su una
scarsa conoscenza delle note marginali, e l'autore la abbandonò in seguito. Sembra
possibile però proporre una spiegazione del tutto diversa di dette scritte. Esse
appartengono, senza dubbio, a due mani nettamente distinte: le note aggiunte nel
margine inferiore del codice furono scritte dalla mano esperta in greco di una persona
oriunda di Bisanzio, mentre le note esplicative accanto alle miniature sono dovute
ad un miniatore bulgaro, il quale, copiando delle iscrizioni nella sua lingua materna,
lo faceva in modo impeccabile, ma era del tutto inesperto nello scrivere i caratteri
greci e conosceva l'ortografia greca soltanto foneticamente. Si potrebbe supporre
dunque che il miniatore bulgaro che decorava il codice lavorasse in parte sotto
la guida di un maestro bizantino. Quest'ultimo in alcuni casi lasciava a lui stesso
la scelta dell'ornamentazione da fare, ma talvolta gli indicava in brevi parole
i soggetti che si dovevano raffigurare. Le sue istruzioni si esprimevano sempre
in modo imperativo: " Fa' qui! " oppure, come avrebbe detto un maestro moderno:
" Raffigura qui... ". Non era questo ignoto pittore bizantino che aggiunse le note
nei margini inferiori del codice, uno di quei bizantini che, in seguito alla diaspora
nella prima metà del secolo XIV, aveva raggiunto le terre bulgare e lavorava come
maestro e " istruttore " in qualche officina di miniatori bulgari? La supposizione
è più che probabile, e, secondo il mio parere, rappresenta la spiegazione più plausibile.
Il fatto che note simili. . non siano aggiunte dappertutto e, d'altra parte, che
le a istruzioni o siano limitate a poche e assai vaghe parole, dimostra a sufficienza
che il miniatore bulgaro lavorava in un modo, fino ad un certo punto, indipendente.
Egli seguiva, senza alcun dubbio, anche qui i ben noti prototipi bizantini dell'ornamentazione
del testo del salterio, ma seppe creare anche tante scene, ove si rispecchiano elementi
locali e nazionali. Così sulla base di una collaborazione con un artista bizantino
nacque una delle più belle opere della miniatura medievale bulgara.
Bollettino
del Centro di studi filologici e linguistici siciliani, 6 (1962) pp. 506-514 (Saggi
e ricerche in memoria di E. Li Gotti, I)
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