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Nikola Vaptzarov è nato a Bansko, un paese della Bulgaria sud-occidentale, il 7 dicembre 1909 ed è caduto sotto il piombo fascista del plotone d'esecuzione il 23 luglio del 1942. Aveva dunque solo 33 anni. La sua breve vita è ricca di esperienze: studente di liceo, allievo della Scuola Nautica di Varna, operaio, macchinista di locomotive, fabbricatore di ordigni esplosivi per la lotta contro i nazisti che avevano invaso il suo paese, dirigente politico del Partito operaio bulgaro. La sua prima e unica raccolta di versi, I canti del motore (Motorni Pesni), vede la luce nel 1940. Ma come poeta era già noto almeno dal 1935 col nome di Nicola Ioncov. |
Avendo preso parte all'azione per la pace all'inizio della guerra, è arrestato una prima volta nel 1941. Rilasciato per mancanza di prove a suo carico, riprende l'attività di cospiratore e dì artificiere al fianco del colonnello Zvetan Radoinov, uno dei capi della Resistenza. Il secondo arresto avviene al principio dell'anno seguente. Per quattro mesi è torturato perché denunci i compagni, ma Vaptzarov parla solo per assumere su di sé ogni responsabilità:
"Sono un antifascista, un figlio della mia Patria e odio gli invasori hitleriani: per questo faccio parte della Resistenza".
La sentenza di morte è eseguita al campo di tiro della Scuola Ufficiali nei pressi di Sofia. Il periodo della sua maturità poetica coincide con gli ultimi sette anni della sua vita. I suoi versi persuadono per la foga dei sentimenti, per la forza morale che li sostiene. Vaptzarov è un poeta ricco di fervore giovanile, di generosa purezza. della gioventù ha la grazia, l'acerbità, lo slancio. Anche quando gli elementi costitutivi della visione sono aspri, duri, realistici, l'onda della sua ispirazione li sommuove, li intride di sogno, di rapita emozione. Scrivendo i suoi versi egli ha sempre cercato la parola viva, parlata, l'espressione che ha radice nella lingua quotidiana, popolare. Essere conciso, naturale: scrivere col tono diretto, con la vivacità e la passione del discorso rivolto a un amico, a un compagno, a un operaio, questo è il concetto che sta alla base della sua poetica. Per queste ragioni, senza dubbio, egli deve essere considerato la voce più fresca e viva nella nuova poesia bulgara.
Biografia tratta da "21 poeti bulgari fucilati" a cura di M. De Micheli Milano-Roma Edizioni Avanti! 1960 (Collana omnibus "Il gallo")
FEDE (ВЯРА)
Ecco: io respiro, lavoro, vivo e scrivo versi, così come posso. Io e la vita ci guardiamo rabbiosi, di traverso e contro la vita io lotto sino all'estremo.
Sono in conflitto con la vita ma tu non pensare che io la disprezzi: anche alle soglie della morte continuerei ad amare la vita, le sue brutali mani d'acciaio. Ancora l'amerei.
E se mi stringessero al collo un nodo scorsoio, chiedendomi se ancora per un'ora volessi restare in vita, io griderei senza indugio: "Via questa corda, o carnefici!"
Per la vita affronterei ogni prova: volerei dentro una macchina senza collaudo, entrerei in un razzo esplosivo per cercare da solo nello spazio lontani pianeti.
E anche così sentirei un sottile fremito vedendo com'è azzurro il cielo lassù, proverei l'incantevole brivido d'essere ancora in vita, d'esistere ancora domani.
Ma se voi mi prendete, quanto? un solo grano della mia fede, allora getterò un grido, urlerò di tormento come pantera ferita al cuore. Che resterebbe allora di me?
Un attimo dopo la vostra rapina sarei distrutto, o più esattamente, più chiaramente, un attimo dopo la vostra rapina di me non resterebbe altro che il nulla.
Voi forse volete abbattere la mia fede nei giorni felici, in un domani dove la vita sarà più saggia e serena?
Ma come potrete abbatterla, dite? Con raffiche di proiettili? No, non i conviene tentare, sarebbe tempo perduto.
La mia fede è difesa saldamente dentro il mio petto e il piombo capace di penetrare questa corazza, ancora non è stato trovato, nessuno l'ha ancora scoperto!
COMMIATO (ПРОЩАЛНО)
A mia moglie Visiterò talora il tuo sogno come un ospite intruso, inatteso. Non mi lasciare sulla strada, fuori, e non serrare le tue porte.
Silente entrerò. Seduto calmo, il buio fisserò per percepirti. E dell’immagine di te ricolmo, ti bacerò per subito svanire.
Aprile 1942
[Traduzione dal bulgaro: Antonia Tzenova]
PREDSMRTNO (ПРЕДСМЪРТНО)
La lotta è implacabile, spietata. La lotta, come dicono è epica. Io sono caduto. Altri, prenderà il mio posto. Cosa conta qui una persona?
Ti fucilano e dopo che t'han ucciso, i vermi... Questo è tanto semplice e logico; ma nella tempesta ti saremo ancora accanto, o popolo mio, perché ti volemmo bene.
23.07.1942
da ROMANTICISMO (РОМАНТИКА)
... Perché mai tanti piagnistei? Perché sospira la gente romantici motivi raffreddati? Romantici oggi sono i motori che cantano nel cielo turchino. Compreso non hanno il canto superbo le fronti spremendosi invano, il canto che porta l'eterno umano ardire sulle robuste ali d'acciaio. Già le scorgo nell'avvenire: aquile che spargono pioggia di sementi. Le loro canzoni Ruggite dall'alto stillano lavoro e libertà...
da EPOCA (ЕПОХА)
Macchine, acciaio, macchine e olio, e vapore e fetore. Nel cielo fumaioli di cemento, nei cantieri una fame spettrale...
Epoca di selvaggia crudeltà, in folle galoppo avanzante. Ribollente epoca d'acciaio sulla soglia del nuovo mondo.
da PRIMAVERA (ПРОЛЕТ)
Primavera mia, mia bianca primavera ancora non vissuta, non celebrata, solo in lucidi sogni sognata mentre bassa trascorri sui pioppi e qui non arresti il tuo volo... Primavera mia, mia bianca primavera... ch'io possa vedere il tuo primo volo dar vita alle morte piazze ch'io possa appena vedere il tuo sole e morir sulle tue barricate!
LA STORIA
Che cosa ci offri, o storia, dalle tue gialle pagine? Noi eravamo gente oscura, uomini delle fabbriche e degli uffici.
Eravamo contadini con addosso puzza di cipolla e di sudore e sotto i baffi spioventi imprecavamo contro la vita.
Ci sarà almeno riconosciuto d'averti saziata d'eventi e abbeverata con abbondanza nel sangue di migliaia di morti?
Tu traccerai soltanto i contorni, ma la sostanza, lo so, resterà esclusa: nessuno racconterà il nostro povero dramma umano.
I poeti saranno tutti presi a scrivere rime di propaganda, ma la nostra angoscia non scritta vagherà solitaria nello spazio.
È stata una vita da descrivere la nostra? Una vita da evocare? A frugarvi, quale tanfo, quale velenosa esalazione!
Siamo venuti al mondo in un campo, al riparo d'una siepe e le madri giacevano nell'erba bagnata mordendosi le labbra inaridite.
D'autunno morivamo come le mosche e le donne urlavano nel giorno dei morti, poi mutavano il lamento in un canto che solo gli sterpi ascoltavano.
Quelli di noi che restarono, intrisi di triste sudore, fecero qualunque mestiere come animali da fatica.
Dicevano i vecchi in casa: «Così era, così è, così sarà...» E noi sputavamo furibondi su quella loro stupida saggezza.
Rabbiosi lasciavamo la tavola e correvamo all’aperto, dove, una speranza ci sfiorava con un alito di luce.
Quanto abbiamo aspettato in angoscia nelle bettole soffocanti! Andavamo a dormire a notte alta dopo gli ultimi bollettini.
Come ci illudevano le speranze! Ma su di noi pesava un cielo basso, fischiava un vento di fuoco... Non ne posso più, basta, non voglio!
Nei tuoi grossi volumi, tra le lettere, sotto le righe, urlerà la nostra sofferenza, con volto ostile guarderà.
Poiché, implacabile, la vita ci colpì col suo duro pugno sulla bocca affamata, il nostro linguaggio s'è fatto aspro.
I versi che noi scriviamo nella notte, invece di dormire, non hanno profumo, ma sono scarni e aggressivi.
Non vogliamo un premio per i nostri tormenti, le nostre immagini mai giungeranno sino ai tuoi massicci volumi accumulati, nei secoli.
Ma tu almeno racconta con parole semplici alle genti di domani, destinate a darci il cambio, che valorosamente abbiamo lottato.
da “21 poeti bulgari fucilati”
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