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La vita di Hristo Botev è segnata dall'indomabile desiderio di vedere
la sua patria finalmente libera e indipendente. Nato a Kalofer il 25 dicembre 1848,
per volere del padre maestro elementare, fervente patriota si reca a Odessa per
completare gli studi secondari. Tornato in patria nel 1867, imbevuto di idee socialiste,
è costretto all'esilio in Romania, dove si vanno organizzando gruppi di patrioti
bulgari. Qui si dà anima e corpo all'attività politica, fondando e dirigendo diversi
giornali, tra i quali vanno ricordati "Budilnik" (La sveglia) e "Zname" (La bandiera).
L'incessante attivismo propagandistico trova espressione anche in campo letterario:
Botev canta con toni spesso dolenti le sue speranze, i moti del suo animo, sempre
ispirati da un sincero e accorato sentimento di libertà. Il suo corpus poetico,
che comprende in tutto una ventina di canti, risente di accenti romantici e di suggestioni
facilmente riconducibili ai versi di Byron, Pushkin e Lermontov, oltre che ai canti
e alle lamentazioni della tradizione popolare bulgara; eppure l'incarnarsi in poesia
dei desideri e delle speranze di una nazione afflitta da secoli dalla dominazione
turca ci può ben spiegare l'importanza di questo aedo del Risorgimento Bulgaro,
cantore di una visione della vita eroica e quasi leggendaria, confermata anche dalla
sua morte avvenuta il 17 maggio 1876 a Vrace durante un tentativo insurrezionale
che i Turchi soffocarono nel sangue.
[Fonte: Parnaso Europeo - Ed. Lucarini]
SULLA RELIGIONE
(da wikiquote) La religione e il clero sono state e forse resteranno, ancora
per lungo tempo, tra i più importanti nemici del progresso e della libertà (Hristo
Botev, «La bandiera», 1875).
PIANTO RIDICOLO,
un articolo dal giornale "Parola degli emigranti bulgari", dedicato alla Comune
di Parigi, 1871
CONGEDO (NA PROSHAVANE V 1869g.)
Non pianger, madre, non ti disperare se hajdùt son diventato
un hajdùt, madre, ribelle, e pel primo figliuolo a lacrimare t'ho, misera,
lasciato. Ma impreca, madre, e maledici quelle prepotenze de' Turchi infami
e nere, che noi giovani han costretto a errar miseri e invisi fra straniere
terre pesanti. Ahimè! So, madre, che ti son caro, perché morir giovane posso,
il bianco e queto Danubio attraversando. Ma dimmi, madre, tu che cosa mai
debbo far se m'hai dato un cuor virile, un cuor d'eroe. E quel cuore, lo sai,
non può, no, tollerare che il Turco infurii sul mio paterno sacro focolare,
là, dove son cresciuto, là, dove il primo latte t'ho bevuto, dove il mio amore
bello il suo bel viso levava, e gli occhi neri e il placido sorriso figgeva
nel mio cuore costernato; dove per me piangeva il padre mio ed i mesti fratelli!
Oh, perdonami, mamma, eroica madre! oh, perdonami, mamma, e dimmi addio! In
ispalla il fucile, odo gli appelli del mio popolo caro contro il vile infedele
nemico. E là per tutto ciò che al mondo m'è più caro, per te, pel padre,
pei fratelli miei,
e pel popolo mio mi batterò. E poi... sarà quel che vorranno
il brando e l'onore d'eroe, madre.
E tu, quando, sibilare una palla nel villaggio sentirai e
già muover con coraggio i giovani a l'assalto, esci, madre, e domanda di tuo
figlio. Se ti diran che ucciso son caduto da una palla, anche allora, madre,
non pianger, né ascoltar la gente, che di me vorrà dire: "È divenuto un infingardo,
un figlio buono a niente!". Ma, invece, o madre, torna a casa, e quello che
udito avrai, col cuore, ai pargoletti fratelli narra: sappiano essi pure ch'hanno
avuto un fratello e che il fratello é morto, perché non volle ai Turchi maledetti
chinar il capo, né veder le dure sofferenze dei miseri ed oppressi. Di' loro,
o madre, tutto quanto, ed essi si ricordin di me: Di' lor che su le rocce
a cercar vengan la mia bianca carne, e sulle vette eccelse e su la nera terra
del sangue mio le nere gocce! Il mio fucile, o madre, il mio fucile e il brando
ritrovino, e poi, quando incontrino il nemico, lo salutino con un colpo di
quello e l'accarezzino con la spada... E se, madre, non puoi per la pietà
far questo, o madre, allora, quando dinanzi a noi s'aduneranno le fanciulle
in coro e i compagni a raccolta, esci, o madre, coi pargoli ed ascolta
il mio canto d'eroe, ascoltalo con loro: e sappi allora perché son perito,
sappi quali parole ho profferito de la morte al cospetto e dei compagni! Ascolta!...
E grave ti sarà, madre, guardare quella danza gioconda, e quando del mio amore
si confonda col tuo lo sguardo, profondamente allor sospireranno due cuori
cari: il suo, o madre, e il tuo. E irroreranno un vecchio seno e un giovane
due lacrime Ma i miei fratelli questo pur vedranno e quando, o madre, anch'essi
cresceranno come il fratello loro diverranno: fortemente ameranno e odieranno
Ma se, madre mia cara, vivo e sano, ritornerò al villaggio, vivo e sano; con
la bandiera in mano, e sotto gli stendardi verranno i miei gagliardi vestiti
da soldati, e in fronte avranno leoni dorati, su le spalle fucili e baionette,
e spade come serpi lunghe e strette avranno al fianco, oh, allora, madre eroica!
oh, amore caro, bello! uscite fuori e in giardino cogliete i più bei fiori,
e di gerani e d'edere ghirlande per le teste e i fucili c'intrecciate! E vieni
con quei fiori e vien con quella ghirlanda, madre, vieni ad abbracciarmi,
vieni a baciarmi su la fronte bella, vieni a baciarmi qua, con due sacre parole,
con due parole sole: o morte o libertà! Allora abbraccerò l'amore mio,
su l'omero la mano sanguinante, perché senta il mio cuore palpitante sappia
come e quanto il cuore de l'eroe batte e martella! E con un bacio asciugherò
il suo pianto, le lacrime berrò de la mia bella! Or dunque, madre, Addio!
addio, non m'obliare, amore mio!
S'incammina la schiera; paurosa é la via, ma gloriosa... Io
posso morir giovane... Ma... questo sol mi basta a mio conforto, se un giorno
almen la gente dir potrà: per la giustizia il poveretto é morto, per la giustizia
e per la libertà!
[Traduzione: Enrico Damiani]
LA MIA PREGHIERA (MOJA MOLITVA)
Oh, tu, mio Dio, Dio giusto! Non tu, del ciel signore, ma
tu che se' in me stesso, ne l'anima e nel cuore...
Non tu cui genuflettonsi e frati e sacerdoti, e accendon ceri
i greggi ortodossi devoti;
non tu, che uomo e donna hai dal fango creato, e schiavo su
la terra hai l'uomo lasciato;
non tu che patriarchi, papi, re proteggesti, e in servitù
abbandoni i miei fratelli mesti;
non tu, che a schiavi insegni sofferenze e preghiere, e in
pasto lor dài solo speranze menzognere;
non tu, Dio dei tiranni, senza onor, mentitori, non tu, di
stolti l'idolo, di barbari oppressori!
Ma tu, Dio di ragione, di schiavi e sofferenti difensore,
che presto festeggeran le genti,
a ognuno ispira, o Dio, di libertà l'amore, si che combatta
ognuno, come può, l'oppressore.
E a me pure rafforza la man per la riscossa, perché trovi
pugnando io pure la mia fossa!
Non far che il turbinoso mio cuor freddo divenga ne l'esilio
e il mio grido nel deserto si spenga!
[Traduzione: Enrico Damiani]
L'IMPICCAGIONE DI VASIL LEVSKI (OBEZVANETO NA VASIL LEVSKI)
O mia madre, o patria diletta, perché piangi, così triste e dolente? O
corvo, e tu, uccello sinistro, su che tomba crocidi lugubre?
Oh, so, lo so - tu piangi, o madre, perché sei schiava in gramaglie;
perché la sacra tua voce, o madre, in un deserto invoca aiuto.
Piangi! Laggiù, vicino a Sofia, alzare vidi una forca nera:
e il tuo unico figlio, o Bulgaria, là ne pende, con orribile forza...
Crocida lugubre il corvo sinistro, ulula il cane, urla il lupo
pei campi; supplici i vecchi pregano Dio, piangon le donne, strillano i bimbi.
Canta l'inverno il suo canto crudele, le raffiche inseguono i
cardi per il piano; freddo, gelo, pianto senza speranza fasciano di tormento
il tuo cuore.
[Traduzione dal bulgaro: Luigi Salvini]
Tratto da
"Liriche e brani scelti" Edizioni di cultura A.I.B. - Roma Sofia, dicembre
1958
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