 Georghi Milev Kassabov (1895 - 1925), chiamato Geo Milev, poeta, critico letterario, traduttore da nove lingue, redattore, pittore, regista, modernista. Il sottotenente che nel 1917, durante la Prima Guerra Mondiale, a ventidue anni, fu trovato vivo tra i cadaveri dei suoi compagni vicino a Doiran, gravemente ferito alla testa; perse il suo occhio destro e fu sottoposto a undici operazioni del viso. Il poeta che nel 1924, nel poema "Settembre", descrisse la tragica, cruenta sconfitta della rivolta degli operai ed i contadini del 1923, organizzata dal Partito Comunista.
Il poeta trentenne che, per aver scritto "Settembre", fu processato e condannato a un anno di reclusione il 14 maggio 1925.
Il trentenne che uscì di casa il 15 maggio 1925, accompagnato da un agente della Sicurezza Civile, e non tornò più, scomparendo senza lasciar tracce e notizie.
Il poeta il cui occhio di vetro fu trovato in una fossa comune nel 1954, trent'anni dopo la sua scomparsa.
Dipinti e disegni di G.Milev Nell'immagine un autoritratto del 1918
GENNAIO
In questo giorno sono nato io. In questo giorno, tra i denti gelidi del freddo, si smorza trattenuto l’ultimo urlo delle bufere di neve. L’Orsa Maggiore rabbrividisce irrigidita, bianca, di ghiaccio; tra i suoi denti sfavillanti trovo il disco spezzato della Stella Polare. Silenzio e immobilità sul ghiaccio azzurro; sotto le albe impassibili dell’Aurora Boreale. Sulla soglia del mio destino sta il vecchio Acquario: il flusso ininterrotto del mio destino che egli fa sgorgare - si è agghiacciato - il destino mio. In questo giorno sono nato io e il mio cuore neonato, ad un tratto, si è raggelato: un pezzo di ghiaccio, enorme e lucido. Io credevo che un angelo soave e trasparente avesse portato con le sue dita delicate il mio cuore - lontano dai beati orizzonti. Egli non è giunto: è morto il mio tenero cuore tra gli artigli gelidi del ghiaccio. In questo giorno sono nato io. Il mio cuore si è raggelato: un pezzo di ghiaccio, enorme e lucido. Non amo io. Il mio cuore è di ghiaccio - una pietra - spietato - come il ferro. Non amo niente e nessuno. Non amo! Oh, libro delle inimicizie! Io strappo e prendo in mano il mio cuore - una pietra enorme e gelida - in attesa - pronto a combattere! Guai alle fronti fragili!
(1920)
DIARIO (DNEVNIK)
ORMAI E’ TROPPO TARDI. ADDIO. (Perché ti amo troppo io!) Ma non ti adornerò con la passione. (Sono sbiadito. Troppo. Troppo.) Ormai è troppo tardi. Tutto tarda. Il giorno. La notte. Io. Tu. Tarda anche il sorriso versato con dolore dai vasi del tuo sguardo...
Che sterile notte! Il mio cuore non attende nessun segreto. (io o questa sera pallida - ma il pallore è infinito!) Intendo. So. Non c’è nessun segreto. Ormai è troppo tardi. Già.
IL GEMITO
Nereggia, foresta, nereggia, sorella mia, nereggiamo in due con te…
D'inverno la fredda foresta mi apre dinanzi tristi sentieri si spegne profondo tra le nere fronde l'alba - precoce - una piaga.
Mi porta il mondo in posti tremendi me - ansiosa e fumida, in paludi deserte - oh foresta mia nera sorella! Il tuo nero fogliame, le mie lacrime piangon - ripetono, con lentezza, con amarezza la preghiera, il gemito, il mio richiamo: Ohimè, dov'è lui!
(Laggiù - mi chiama forse la tomba del mio amor dolente.) Giorno e notte senza requie dappertutto io lo cerco e nel mondo avanzo coi piedi lacerati, senza vigore - in fondo alla notte è il cuore - notte e giorno senza requie mille anni mille secoli: ohimè, dov'è lui?
E lancia il vento invernale un grido gelido e affliggente - un gemito pietrificato - nel buio del dolore senza sofferenze svanisce - la terra - allontanata.
Oh foresta mia nera sorella!
Il sole in caverne mute lo ammazza: in notti orrende senza luce, senza stelle egli risorge e nel sangue sguazza agli incroci intrecciati nelle basse valli. Il mio dolore lo raggiunge - un incorporeo fantasma. Rosso dagli omicidi, nero dalla nebbia morta, egli entra nel mio sogno
(mentre dormono le icone)
sul far dell'alba - uno straniero atroce (mentre dormono le icone)
e getta ai miei piedi camicie insanguinate, teste nere
(mentre dormono le icone).
Non ho più viso - non ho più occhi - oh sorella mia nera foresta! Dinanzi a me il sentiero si torce in una spirale amara, sotto l'alba funesta.
Note biografiche e traduzione dal bulgaro: Antonia Tzenova
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