DIMCHO DEBELJANOV (1887-1916) | ||||
![]() Disse egli di sé: Io muoio e smagliante rinasco, anima discorde e multiforme; di giorno infaticato innalzo, di notte senza pietà distruggo. In questi versi del suo "Canto nero" è tutto l'intimo, profondo travaglio del Poeta, che forse una affrettata smania di catalogazione ha voluto racchiudere entro ristretti limiti definendolo senz'altro un simbolista. E indubbiamente molte sue poesie, e riteniamo le migliori, presentano tutti i caratteri del simbolismo: una visione mistica, pessimista, tragica della vita, uno spirito di rinuncia, un permanente scostamento dalla realtà, accompagnato dal sogno di un ideale irraggiungibile. - Del resto Debeljanov si trovò a vivere ed a respirare in quell'atmosfera simbolista che in Bulgaria ebbe non pochi rappresentanti: Teodor Trajanov (1882-1945), portavoce del simbolismo tedesco, Nikolaj Liliev (18851960) di quello francese, Ljudmil Stojanov (1888-1973) di quello russo, ma sopra tutti il secondo Javorov (1877-1914): Javorov simbolista. Quale la vita di Dimcho Debeljànov? Non ne sappiamo gran che. Fu certo di povera famiglia; studiò dapprima nella natia Koprivshtitza, piccolo e grazioso centro ai piedi della Sredna Gora; passò poi a Plovdiv e infine a Sofia (la "piccola cattiva Sofia" come egli la definì), dove frequentò legge, ma non ebbe né piacere né dimestichezza con i codici e preferì la compagnia di giovani scrittori, fra questi il grande Pencho Slavejkov. Leggeva e traduceva i simbolisti russi e quelli di lingua francese che allora andavano per la maggiore, e sul loro modello iniziò la sua attività di poeta. Conduceva vita assai grama, assillato dalle ristrettezze e disgustato della grettezza di una sciatta vita borghese. Fu impiegato in diversi organi statali, ma le sue entrate erano sempre tali da permettergli a malapena di sopravvivere. Nella Bulgaria da poco liberata dalla dominazione ottomana erano ormai tramontati gli entusiasmi del primo momento ed era subentrata una meschina rivalità tra le parti e i loro rappresentanti, tesi al raggiungimento di fini prettamente materiali. Tutto ciò suscitò nel giovane Debeljanov il disgusto, aggiungendosi a quello per una esistenza di stenti, di desideri inappagati, di mancanza di affetti sinceri. Siamo alla vigilia della prima guerra mondiale; nel Paese si andavano sempre più affermando correnti di ispirazione socialista, ma il poeta, come molta parte della "intellighenzia" di quel tempo, non vi trovò appagamento; ebbe sì scatti di ribellione contro le ingiustizie sociali - e la sua protesta si traduce in alcune liriche, non però tra le più belle -, ma rimasero la protesta di un individualista che esprime la propria ribellione con una forma di scapigliatura e di infruttuosa autocritica. Da questa condizione di stallo bisognava pur uscire. Tempra di lottatore Debeljanov non l'aveva certo, e allora la soluzione dei suoi problemi parve una sola: partire per la guerra, sebbene, dato l'impiego che ricopriva, fosse esente dal servizio militare effettivo. Ma decise di partire, sperando che gli eventi modificassero una situazione ormai insostenibile. Non fu quindi amor di patria, non fu esaltazione guerriera, non fu nemmeno aspirazione a futuri compensi; fu solo anelito di liberazione, di mutamento. Ma non fu incoscienza, ché si rendeva ben conto dell'evento che poteva por fine ai giorni suoi: "Io parto, Naum, ma so che cadrò al primo scontro." - "Io vado, e so che non farò ritorno:' - Sarò come fulgida favilla, e come favilla estinguerò." - "Un terribile presentimento mi tormenta, che mi uccidano già al primo scontro." Questo egli confidava a conoscenti e amici. E nell'ultima sua poesia, abbandonati sogni e chimere, guarda realisticamente in faccia al suo passato e al suo destino: Se morrò in guerra nessuno mi rimpiangerà: ho perduto la madre, e sposa non ò trovato, né amici io ho. Dal mondo me ne andrò, sì come venuto son, senza scalpore, come canto che tacito desta inutil ricordo. Così piangeva il Poeta sul fronte macedone, dove, il 2 ottobre del 1916 la morte lo colse. Tutto vero quanto scrisse allora. Egli se ne andò "senza scalpore". - Una sola cosa non è vera: non è vero che il suo canto susciti un "inutil ricordo", ché la purezza della lingua, l'eleganza del verso, la ricchezza dei sentimenti espressi hanno il potere di commuovere chi a lui si accosta. Qui è l'essenza di questo poeta che varca i limiti di "scuola" e di "corrente", entro i quali si è tentato di costringerlo, per raggiungere le alte vette della lirica con la purezza del sentire, l'intensità degli affetti, la nostalgia struggente per i luoghi e per le persone amati, la aspirazione a ciò che è nobile. Presentazione a cura di Leonardo Pampuri FAR RITORNO... Poesia Bulgara - Anna Maria Petrova-Ghiuselev << | Poesia bulgara | >> Poesia Bulgara - Dimitar Voev (Nova Generatzia)
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