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Sofia - Aprile 1999
D. Qual'è la situazione attuale del cinema Bulgaro.
R. La situazione
è tragica perché si fanno pochissimi film. Ci sono ottimi professionisti nel nostro
cinema, ma non ci sono soldi, le sovvenzioni statali scarseggiano e, ultima cosa
ma non meno importante, non c'è una legge che tuteli il nostro cinema; in una settimana
possono uscire quattro prime di film americani, cosa che, per esempio, non potrebbe
succedere in Italia. Lo scorso anno ci sono state 170 prime di film americani, una
ogni due giorni. Ma il problema più grosso è che non essendoci soldi a sufficienza
per produrre interamente un film, dipendiamo quasi completamente dalle coproduzioni;
in pratica in Bulgaria un film si fa se è riuscito ad ottenere una coproduzione
con l'occidente; cosa che, oltretutto, non garantisce l'uscita del film in altre
nazioni. In queste coproduzioni noi mettiamo più soldi del coproduttore, ma siccome
senza i soldi del coproduttore non potrebbe essere portato a termine, è a lui che
spetta l'ultima parola. Questa cosa per me è molto preoccupante; io non sono contro
le coproduzioni ma non è possibile che ogni film che venga girato in Bulgaria sia
una coproduzione. Il mio non è una coproduzione. E' forse il secondo o terzo film
in dieci anni ad essere interamente bulgaro.
D. Le coproduzioni sono cominciate quindi da una decina d'anni. Prima cosa
succedeva?
R. Prima lo Stato finanziava venticinque, trenta film all'anno
per il cinema e altrettanti per la televisione. Adesso facciamo un film ogni due
anni, che è pochissimo. Anche se arriveremo a farne due all'anno sarà ugualmente
poco.
D. Ma il finanziamento statale lasciava una sua impronta sul risultato artistico?
R. Stai parlando della censura?
D. Si.
R. Il più grosso problema è stato che la censura era, prima
di tutto, dentro di noi; una sorta di autocensura. Anche adesso esiste questo problema:
autocensura oggi, in Bulgaria, significa che ognuno di noi pensa a fare un film
che piaccia all'Occidente, non a fare un film che piaccia prima di tutto a se stesso,
e questo per avere un po' di soldi. Siamo Occidente-dipendenti. L'Occidente vuole
da noi film pseudo-sociali, come io li definisco, che descrivano una realtà che
praticamente in questo momento non esiste. L'Occidente vuole che noi produciamo
solo film che rispecchino l'idea che, negli anni, si è costruita di noi: chiede
il folklore, l'esotismo, la descrizione dei nostri problemi sociali. Chiede soprattutto
film etnici, cosa che, secondo me, alimenta tutti i problemi che abbiamo nei Balcani.
Ti faccio un esempio: se vado da una fondazione a chiedere soldi per un documentario,
mi daranno sicuramente dei fondi se avrò inserito nella mia sceneggiatura turchi,
zingari e così via. Me li daranno sicuramente. Da noi si aspettano film documentari
sulle minoranze, creando paradossalmente un problema in un paese che, nonostante
la presenza di minoranze armene, ebree eccetera, è sempre stato un paese unito.
I problemi etnici in Bulgaria sono problemi creati. In Bulgaria non è mai esistito
questo problema prima che si instaurasse il regime comunista.
D. Parliamo del tuo film. E' un film molto surreale, onirico…
R.
Ho provato a riunire in questo film gli stili diversi che mi piacciono nel tentativo
di elaborarne uno nuovo, personale. Chiunque faccia un film ha i suoi riferimenti
culturali, le sue passioni, a me piace la commedia dell'assurdo; Pinter, Ionesco,
Beckett. Noi abbiamo letto molti di questi libri, forse perché erano proibiti.
D. Quale è stata la tua formazione cinematografica
R. Io sono nato
nel cinema e nel teatro: mio padre è attore, mia madre attrice, ho vissuto fin da
piccolo dentro un teatro. Mi sono diplomato nella nostra accademia d'arte cinematografica,
ho due specializzazioni: cinedrammaturgia e montaggio. "Wagner" è il mio debutto
cinematografico e credo di aver fatto un film su un problema che non è soltanto
bulgaro...
D. Ossia ?
R. Per dirla in due parole, sull'Umanità che snatura
se stessa preferendo le cose materiali a quelle spirituali...
D. ...Il pezzo di pane che la protagonista rincorre per tutta la durata del
film…
R. E' la rincorsa di tutti nel mondo. Si occupano solo di questo:
di avere una macchina, un pezzo di pane, un appartamento e qui finiscono tutti i
loro sogni; dopo vogliono un'altra macchina, un altro pezzo di pane, un altro appartamento.
Diventa un circolo chiuso perché non c'è un sogno vero, un vero ideale.
D. Nel tuo film la protagonista cerca un pezzo di pane e spesso riceve dagli
altri solo l'offerta di cose inutili, di cose che non nutrono.
R. Anche
il pane va offerto con un gesto che non è solo materiale, ma spirituale ed è per
questo che la protagonista non si nutre. Il mondo di oggi è frammentato in tanti
microcosmi chiusi dove le persone sopravvivono invece di vivere. E questo succede
in tutti i paesi del mondo: Italia, Bulgaria, Stati Uniti…Forse negli Stati Uniti
di più. Su questa idea ho strutturato il mio film: la protagonista viene di volta
in volta a contatto con persone che, pur vivendo nello stesso condominio, non si
conosce, persone che sopravvivono nelle loro situazioni estreme pensando che il
loro modo di vivere sia quello giusto, difendendolo dagli altri, escludendo gli
altri. Persone che sopravvivono farsi domande, aspettando di morire.
D. Quali sono stati i tuoi "film-guida"?
R. Tantissimi. Il primo
che mi viene in mente è "Il servo" di Losey. Ma anche tutto il neorealismo italiano.
D. Quanto è costato il tuo film?
R. Pochissimo. Intorno ai 250.000
dollari. E' costato poco perché tutti coloro che mi hanno aiutato nella realizzazione
del film l'hanno fatto per amicizia. Io sono "figlio d'arte" e questo mi ha molto
aiutato.
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