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"Se continuerò ad allenare anche il prossimo anno? Non è questo il problema.
Per il mio futuro c'è tempo, devo solo pensare alla squadra e a vincere il più possibile".
Una sfida dopo l'altra, questa forse più impegnativa di quelle che ha affrontato
nella sua carriera agonistica, ma anche nella vita. Di quest'ultima, però, non vuole
parlare. "La mia vita è la pallavolo". Mila Kiosseva - tecnico della Romanelli -
è nata a Pernik, in Bulgaria, il 5 giugno del 1963. Il volley diventa la prima passione,
l'occasione per emergere, tanto che lascia la sua città natale, giovanissima, per
andare a Sofia ed entrare nelle giovanili della squadra più importante della capitale,
il Cska, poi l'esordio in prima squadra. È il 1981 l'inizio di una brillante carriera.
Oltre a sette scudetti vince la sua prima coppa dei campioni nel 1982, bissando
il successo due anni dopo. Con la maglia della nazionale (conta 420 presenze) guida
le compagne alla vittoria nel campionato europeo del 1981. Dopo aver raccolto riconoscimenti
individuali (nel 2000 è proclamata giocatrice del secolo in Bulgaria) ed allori
di squadra, decide di l'avventura in Italia iniziata nel 1989 con il Potenza in
A2.
L'anno dopo è in A1 a Cassano. Quindi, due stagioni a Reggio Emilia,
poi Roma fino al '96 e la Romanelli fino al 1998, quando decide si ritirarsi e,
dopo qualche mese di riflessione, accetta l'incarico di direttore sportivo proprio
della Romanelli. Questo è solo l'inizio di una nuova carriera che, probabilmente,
neanche "Mizzi" (così la chiamano gli amici, ndr) pensava che arrivasse così in
fretta. Dopo l'esonero di Daniele Berselli e le dimissioni di Stoyan Gountchev,
il presidente Massimo Romanelli, rompendo gli indugi, decide di rinunciare al direttore
sportivo, affidando la panchina della sua squadra a Kiosseva. Scelta dettata anche
dalla vasta esperienza maturata sul campo dall'ex numero 3 della nazionale bulgara.
"Dietro la scrivania, le pressioni e le responsabilità sono ridotte al minimo. Fino
ad ora il mio compito era di costruire la squadra e organizzare le cose in modo
che non ci fossero intoppi, solo dal punto di vista logistico. Adesso tutto è cambiato.
Devi pensare agli allenamenti, preparare le partite, studiare le altre squadre,
guardare videocassette. Insomma, il lavoro in palestra è solo una parte dei compiti
di un allenatore".
Spesso i grandi campioni che diventano tecnici hanno,
all'inizio, difficoltà a calarsi in questa realtà; vorrebbero vedere nei propri
giocatori quelle caratteristiche che avevano prima di iniziare ad allenare. Succede
anche a lei? "Le generazioni cambiano. Guardo le atlete di oggi e ripenso a come
ero io all'inizio della mia carriera. Si pensava solo agli allenamenti, a giocare
e a studiare. Capisco, però, che i tempi e le esigenze siano cambiati, probabilmente
in meglio. Non posso però giudicare e dire che è giusto quello che si faceva ieri
o quello che si fa adesso. Per quello che mi riguarda, non posso cambiare il modo
di pensare e vedere la pallavolo. Non posso trasformare Mila in quello che non è".
Insomma, difficile vedere adesso atleti che rimangono in palestra ben oltre
l'orario di allenamento. "Non è solo quello. Bisogna riconoscere che le prestazioni
atletiche sono migliorate, anche se andrebbero sviluppate meglio, magari con maggiore
attenzione alla tecnica".
Giampaolo Marchini, La Nazione, 30.12.2001
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